Se pensate che la Samantha dal titolo sia l’indimenticabile personaggio interpretato da Kim Cattrall in Sex and the City mi spiace deludervi. Ciò che voglio raccontarmi qui è la mia prima conversazione virtuale via ChatGPT. Ne avrete sentito parlate: si tratta di un’applicazione di Intelligenza Artificiale che può creare contenuti in modo automatico. Voi chiedete e la macchina vi fornisce una risposta. Circostanza che mi ha richiamato alla mente il personaggio virtuale che fa innamorare Theodore il protagonista del bel film HER di Spike Jonze uscito nel – lontano – 2013, Samantha appunto.
Su ChatGPT l’interazione tra noi e l’Intelligenza Artificiale avviene come in una qualsiasi chat solo che dall’altra parte abbiamo un interlocutore artificiale (il chatbot): nella nostra riga di conversazione possiamo porre domande o un tema su cui chiediamo al nostro di scrivere contenuti, un articolo, un post…
Con un cero entusiasmo mi sono iscritto e ho provato a digitare il primo argomento che mi è venuto in mente: il COVID-19! La macchia si è messa al lavoro e in pochi istanti ha confezionato tre paragrafi smilzi, non particolarmente entusiasmanti, ma all’apparenza abbastanza precisi.
Il primo caso di COVID-19 in Italia è stato confermato il 21 febbraio 2020. Si trattava di un uomo di 38 anni originario di Codogno, una città della Lombardia, che aveva contratto il virus da una fonte sconosciuta. In seguito, si è scoperto che questo uomo era stato a contatto con altre persone che successivamente si sono ammalate, dando inizio a un focolaio di COVID-19 nella regione. Il numero dei casi è poi rapidamente aumentato in tutta Italia e il paese è diventato uno dei primi e dei più colpiti in Europa dalla pandemia
Proviamo con un tema più specifico… visto che ho collaborato con l’Ospedale di Codogno ho chiesto alla mia Samantha di parlarmi del primo caso di Covid e in particolare di Annalisa Malara, la dottoressa anestesista che ha deciso di sottoporre Mattia a un tampone covid visto che era stato ricoverato all’ospedale con una grave polmonite bilaterale e non rispondeva ad alcuna terapia “tradizionale”. La storia dovreste conoscerla tutti, se ne sono occupati per mesi e mesi i Tiggì, sono apparsi centinaia di articoli a riguardo, Annalisa ha rilasciato interviste con i media di tutto il mondo. Ebbene con mia grande sorpresa Samantha ignora tutto questo, per lei Annalisa Manara non ha niente a che fare con la scoperta del COVID, è un’infermiera che ahimè non c’è più (la nostra Annalisa Malara è viva e vegeta, felice e orgogliosa del suo percorso umano e professionale).
Annalisa Malara è stata un’infermiera italiana che è deceduta il 20 marzo 2020 a causa di COVID-19. Era nata a Cadorago, in provincia di Como, nel 1977, e aveva lavorato come infermiera per 15 anni presso l’Ospedale di Varese, in Lombardia. Durante l’epidemia di COVID-19 in Italia, Malara ha lavorato incessantemente per assistere i pazienti affetti dalla malattia, rischiando la propria vita. Purtroppo, Malara ha contratto il virus sul lavoro e, nonostante tutti gli sforzi per salvarla, è deceduta a soli 42 anni.
Non mi sono dato per vinto, vediamo di superare lo scoglio di questo caso di omonimia (a me totalmente sconosciuto). Come si dice “ho affinato la ricerca” digitando Annalisa Malara primo caso covid. Ecco la risposta
Mi scuso ancora, ho commesso un altro errore nella mia risposta precedente. Annalisa Malara non ha alcun legame con il primo caso di COVID-19 in Italia. Il primo caso di COVID-19 in Italia è stato identificato il 21 febbraio 2020, e riguardava un uomo di 38 anni originario di Codogno, in Lombardia. Annalisa Malara, invece, è stata un’infermiera che ha lavorato duramente per assistere i pazienti affetti da COVID-19 in Lombardia, durante l’epidemia che ha colpito l’Italia nel 2020. Spero che questa risposta chiarisca ogni possibile confusione.
Cosa ci racconta questo piccolo esperimento? Che nonostante in molti si siano affrettati a celebrare il funerale dei giornalisti e dei cosiddetti content creator, coloro che per lavoro scrivono contenuti, per quanto sofisticata e semplice da utilizzare la tecnologia non può sostituire tutte le attività umane.
In seconda battuta mi sono ricordato della lezione del bellissimo libro The Lifespam of a Fact (qui una review del New Yorker), scontro-incontro tra uno scrittore a un fact-checker: ebbene che si scriva di fiction o di non fiction, controllare la veridicità dei fatti è attività necessaria e in alcuni casi assolutamente vitale (con appunto le eccezioni giustificate dalle cosiddette invenzioni narrative o licenze poetiche).
Al nostro Theodore che pende dalle labbra di Samantha perdendo ogni capacità di distinguere il Vero dal Falso, la Realtà dalla Finzione, sarebbe bastato lanciare una ricerca Google per scoprire che la Malara dell’Ospedale di Codogno è il primo riscontro di oltre 104.000 risultati! Oppure andare in una biblioteca dove avrebbe potuto trovare traccia o addirittura leggere il libro In Scienza e Conscienza (Longanesi) dove Annalisa Malara racconta la sua storia.
Accuratezza e credibilità sono merci rare perché difficili da conquistare. Implicano la “fatica” di controllare più e più volte l’affidabilità delle fonti (che è qualcosa di diverso dal sostenere “l’ho trovato su Facebook, su Wikipedia o l’ha scritto ChatGPT!); ci obbligano a confrontare più Fonti possibili sul medesimo argomento, prediligendo quelle primarie anche se ciò significa staccarci dal PC o dallo smartphone e investire un po’ di tempo e energia in più.
In conclusione allo stato dell’arte meglio non affidarsi o fidarsi troppo di quelle applicazioni più o meno “intelligenti” che promettono miracoli. Non rappresentano una facile scorciatoia per raggiungere un obiettivo ma solo uno dei molteplici supporti su cui possiamo far affidamento. Per quanto riguarda l’accuratezza, la ricchezza e la credibilità della scrittura, l’uomo batte ancora la macchina.
Pienamente d’accordo. Ciao Enrico
Ciao Anna, sono contento di poterti annoverare tra le mie lettrici più attente. Con affetto Enrico